La Chiesetta fu costruita all’inizio del ‘600 come oratorio di un conventoi. Il nome le deriva dalla riproduzione a olio dell’immagine della Madonna del Sangue, venerata nel Santuario di Re in Val Vigezzo, e posta sulla pala dell’altare. Era la Chiesa degli spazzacamini, che venivano tutti dalla Valle Vigezzo all’inizio dell’inverno per pulire le canne fumarie e, costretti per lavoro a passare diversi mesi a Milano, lenivano la nostalgia della loro verde vallata ritrovandosi in questa chiesa, che li faceva sentire un poco più vicini a casa. Qui, presso la Chiesa, poco dopo l’unità d’Italia, gli spazzacamini istituirono il loro Patronato, un’associazione che vigilava sul trattamento economico, assisteva con qualche contributo i soci più indigenti e organizzava la scuola per piccoli lavoratori. La domenica mattina gli spazzacamini andavano a vendere la fuliggine raccolta durante la settimana in via Argelati 17 da un certo De Simoni (“negoziant de carisna”, ma anche produttore di carboncini per pittori) il quale a sua volta la rivendeva ai pellettieri che la usavano per liberare le pelli dai peli. Poi seguivano la Messa in via Magolfa e affidavano i piccoli spazzacamini alle dame di San Vincenzo che, in un capannone situato vicino all’Oratorio, distribuivano loro maglie di lana, calze e zoccoli e poi facevano loro mangiare una zuppa con “pan de mej” (pan di miglio) e scarti del macellaio di Ripa Ticinese 5, insaporita da una manciata di raspatura di formaggio. Gli adulti pranzavano invece all’osteria Cà di Can (così chiamata forse perché i proprietari erano i fratelli Cane) di via Trincea delle Frasche. Costo 1 lira e mezza. E ci offre un’altra curiosità: uno dei fratelli Cane era anche titolare dello “scaldatoio pubblico” di via Anfossi dove nei primi anni del ‘900 i barboni potevano trovare, nei mesi freddi un brodo caldo fatto con la trippa (busecca) e in estate potevano dissetarsi con una birra di limone, praticamente una limonata al bicarbonato.
Quando gli spazzacamini smisero di frequentare la Chiesetta di via Magolfa vennero sostituiti da lavandai e conciatori di pelli. La vecchia Milano svanisce e anche la via Magolfa, uno degli ultimi borghi che si ostinava a non mutare, negli ultimi anni è cambiata. Ora c’è solo un’idea coperta di verde, che finge d’essere roggia, e per tutta la via case signorili, rifatte in stile. Al civico 32 ha trovato casa la memoria di Alda Merini. E così la poesia abita ancora in via Magolfa.